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1. A01.
Leggi il seguente testo e poi rispondi alle domande
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del senso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli altri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, linguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.
Quale delle forme seguenti può sostituire correttamente il pronome
relativo "di cui" nella subordinata "di cui dispongono" (righe 2-3 del testo)?

A - descrivere i comportamenti delle persone negli scambi quotidiani, nelle comuni conversazioni e nell’uso delle parole
B - narrare i momenti di una quotidiana conversazione tra persone che hanno comuni interessi e usano le stesse parole
C - esprimere le sue idee sull’uso del telefono in una normale situazione di dialogo e sull’uso delle parole
D - sostenere con argomentazioni le proprie idee sull’uso delle parole negli scambi comunicativi




2. A02. 
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del senso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli altri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, linguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.
Completa il testo che segue tenendo in considerazione quanto detto dall’autore.
Scegli la parola corretta da inserire, una sola per ogni spazio, tra quelle suggerite in elenco.
Fai attenzione: ogni parola può essere utilizzata una sola volta e cinque parole sono in più.

L’autore vuole definire “l’uso delle parole” come capacità di adeguare il proprio (a)......... sulla base
del (b)........ in cui ciascuno si trova, dell’interlocutore con il quale (c) ...... per diversi scopi e, soprattutto,
delle trasformazioni che si verificano nel (d) ..... di una relazione (e) ..... .

  linguaggio condivisa interagisce corso pensiero polemizza senso contesto comunicativa ruolo
a
b
c
d
e

3. A03. 
Quali tra le seguenti affermazioni sono coerenti
con quanto si sostiene nel testo?
Per ciascuna frase seleziona Coerenteoppure Non coerente.

    Coerente Non coerente
A  Il "senso comune" è ciò che ci fa sembrare banali e ingenui nella comunicazione
B  Il contesto della comunicazione tra le persone è decisivo nel favorire usi diversi delle parole
 C  Ciascuno deve mantenere il proprio modo e stile di parlare senza tener conto dell'interlocutore
 D  Gli scambi comunicativi dipendono anche dal ruolo e dalle intenzioni comunicative di ognuno

4. A04.
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del senso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli altri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, linguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.

Con quale parola, vicina nel significato e coerente con il contesto, puoi sostituire la parola "sentirete" evidenziata nel testo?



5. A05.
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del senso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli altri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, linguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.

Con quale espressione, vicina nel significato e coerente con il contesto, puoi sostituire la parola "tono" evidenziata nel testo?



6. A06.
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del senso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli altri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, linguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.

Con quale espressione, vicina nel significato e coerente con il contesto, puoi sostituire l'espressione "secondo con" evidenziata nel testo?



7. A07.
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del senso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli altri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, linguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.

Con quale espressione, vicina nel significato e coerente con il contesto, puoi sostituire l'espressione "temporalità del momento" evidenziata nel testo?


a imitazione di
tenendo conto di

8. A08.
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del senso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli altri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, linguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.

Con quale espressione, vicina nel significato e coerente con il contesto, puoi sostituire l'espressione "gioco che stiamo facendo" evidenziata nel testo?



9. A09.
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del senso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli altri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, linguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.

Con quale espressione, vicina nel significato e coerente con il contesto, puoi sostituire l'espressione "sul filo" evidenziata nel testo?



10. A10.
L’USO DELLE PAROLE
Noi usiamo le parole in tanti modi diversi; le parole hanno tanti usi diversi secondo le circostanze in cui parliamo e le conversazioni che facciamo. Ma questo noi lo diamo per scontato, perché fa parte delle nostre capacità di fondo, ossia fa parte del senso comune. E noi tutti sappiamo usare le parole in tanti modi diversi, con toni e sottintesi diversi, per ottenere risposte diversissime. Detto in altre parole: il senso comune è tutto quel tessuto di piccole competenze che ci serve a dialogare con gli altri, per cui noi e gli altri ci intendiamo nel dare senso al mondo. In questo modo, e solo partendo da qui, riesco a pensare a cosa si potrebbe intendere con la parola narrazione. Ascoltate uno che parla al telefono e sentirete come cambia tono, accento, linguaggio, secondo con chi parla e secondo l’argomento di cui parla. Con questo voglio dire che raramente ci rendiamo conto di come il nostro uso delle parole sia legato alla temporalità del momento: cioè è legato al momento in cui siamo, al tipo di gioco che stiamo facendo con qualcun altro, e che cambia sempre sul filo del tempo.

L'autore usa prevalentemente la prima persona plurale per :



11. A11.
SUA MAESTÀ IL GUFO ACCECATO DALLE LUC​I
Come sono misteriosi gli uccelli notturni, i gufi, le civette, i barbagianni! Il gufo reale è uno dei più grandi e merita veramente il suo nome. È sempre difficile avvistarlo. Una sera d’estate, nella casa di campagna, ne ho visto uno volare dal tetto verso gli alberi vicini. Mi sembrò un fantasma familiare, una creatura arrivata dal mondo oscuro della Natura, ma benevola, che portava con sé qualcosa di ignoto. Il suo arrivo suscitò in me sorpresa e meraviglia. Sentii il fruscio delle sue grandi ali, poi vidi nel buio il folto piumaggio, e non diversa da quella di un nume fu la sua apparizione. Pochi momenti ed era già sparito. Raramente la sua maestà si lascia ammirare in tutta la sua piumata bellezza.

   In un’altra sera, una sera in città, ho visto un gufo reale esposto su un trespolo in una trasmissione televisiva. Era una di quelle trasmissioni culturali che vanno in onda dopo la mezzanotte, e la presenza del gufo, simbolo di saggezza, era come una sigla che voleva dire: trasmissione notturna, o forse culturale. Stava lì nello studio mentre i due presentatori parlavano di Bisanzio, una civiltà dove raffinatezza e crudeltà andavano di pari passo, e accecare un nemico era cosa normalmente praticata, per asservirlo o per renderlo innocuo. I due presentatori parlavano, e dietro di loro sul trespolo, come un idolo, assolutamente immobile, con la testa eretta stava il gufo reale, accecato dalle luci dello studio. Sentivo che la sua immobilità nasceva proprio dalla sua intolleranza per la luce, ed era l’immobilità che assumono certi animali di fronte a un nemico inevitabile e invincibile. Non riuscivo a seguire le parole dei presentatori che parlavano di migliaia di prigionieri accecati dopo una battaglia vinta dai bizantini, perché ero distratto e come ipnotizzato dagli occhi splendenti del gufo. Due occhi grandissimi, due biglie di vetro luminose e trasparenti, di un colore topazio con in mezzo un puntolino nero. E com’era veramente regale quell’uccello, con che dignità stava su quel trespolo, come su un trono. E com’era misteriosa la fissità del suo sguardo! Stava lì, in quel luogo così diverso dai suoi ascosirifugi notturni e totalmente a lui estraneo, e io in quel momento guardandolo mi sorpresi a pensare a tutte le creature, uomini e animali e uccelli, gettate senza un perché su questa terra, come lui era stato gettato in quello studio televisivo. Mentre il gufo reale immobile sul trespolo teneva per tutto il tempo della trasmissione i suoi grandi occhi luminosi sbarrati sul nulla come quelli dei ciechi, i due presentatori parlavano di Bisanzio, e la crudeltà di cui parlavano, forse a causa di quel gufo accecato dalle luci, mi sembrò più mostruosa e terribile, e perfino la parola, la parola «crudeltà», mi sembrò talmente intollerabile da non poterla sentire nemmeno pronunciare. Mi trasmetteva, sapendo a cosa si riferiva, un malessere fisico. Volevo che tutto finisse al più presto, e avevo già preso il telecomando per spegnere, quando la trasmissione finì. Il padrone del gufo reale - che presumibilmente era stato dato in affitto per quella serata - mentre sgombravano lo studio dall’arredo di scena, si avvicinò al trespolo, e senza tanti riguardi, come chi ha fretta e deve spicciarsi, prese quel nobile e fiero figlio della Natura per i piedi, che aveva grandi e unghiuti e possenti, da predatore notturno, e come fosse un pollo qualsiasi da portare al mercato se lo portò via. Mentre veniva così trascinato penzoloni, a testa in giù, sentii in me tutta l’umiliazione cui era stato sottoposto e pensai ai suoi grandi occhi splendenti, aperti sul mondo assurdo dove chissà perché era precipitato.

L’autore fa riferimento a due episodi durante i quali ha visto un gufo, sempre di sera.
Nel primo episodio (parte evidenziata nel testo) la vista del gufo suscita nell’autore:

     Vero Falso 
 A  sensazione di spavento
 B  senso del mistero
 C  ammirazione 
 D  meraviglia
 E  presentimento di sventura

12. A12.a
SUA MAESTÀ IL GUFO ACCECATO DALLE LUC​I
Come sono misteriosi gli uccelli notturni, i gufi, le civette, i barbagianni! Il gufo reale è uno dei più grandi e merita veramente il suo nome. È sempre difficile avvistarlo. Una sera d’estate, nella casa di campagna, ne ho visto uno volare dal tetto verso gli alberi vicini. Mi sembrò un fantasma familiare, una creatura arrivata dal mondo oscuro della Natura, ma benevola, che portava con sé qualcosa di ignoto. Il suo arrivo suscitò in me sorpresa e meraviglia. Sentii il fruscio delle sue grandi ali, poi vidi nel buio il folto piumaggio, e non diversa da quella di un nume fu la sua apparizione. Pochi momenti ed era già sparito. Raramente la sua maestà si lascia ammirare in tutta la sua piumata bellezza.

   In un’altra sera, una sera in città, ho visto un gufo reale esposto su un trespolo in una trasmissione televisiva. Era una di quelle trasmissioni culturali che vanno in onda dopo la mezzanotte, e la presenza del gufo, simbolo di saggezza, era come una sigla che voleva dire: trasmissione notturna, o forse culturale. Stava lì nello studio mentre i due presentatori parlavano di Bisanzio, una civiltà dove raffinatezza e crudeltà andavano di pari passo, e accecare un nemico era cosa normalmente praticata, per asservirlo o per renderlo innocuo. I due presentatori parlavano, e dietro di loro sul trespolo, come un idolo, assolutamente immobile, con la testa eretta stava il gufo reale, accecato dalle luci dello studio. Sentivo che la sua immobilità nasceva proprio dalla sua intolleranza per la luce, ed era l’immobilità che assumono certi animali di fronte a un nemico inevitabile e invincibile. Non riuscivo a seguire le parole dei presentatori che parlavano di migliaia di prigionieri accecati dopo una battaglia vinta dai bizantini, perché ero distratto e come ipnotizzato dagli occhi splendenti del gufo. Due occhi grandissimi, due biglie di vetro luminose e trasparenti, di un colore topazio con in mezzo un puntolino nero. E com’era veramente regale quell’uccello, con che dignità stava su quel trespolo, come su un trono. E com’era misteriosa la fissità del suo sguardo! Stava lì, in quel luogo così diverso dai suoi ascosirifugi notturni e totalmente a lui estraneo, e io in quel momento guardandolo mi sorpresi a pensare a tutte le creature, uomini e animali e uccelli, gettate senza un perché su questa terra, come lui era stato gettato in quello studio televisivo. Mentre il gufo reale immobile sul trespolo teneva per tutto il tempo della trasmissione i suoi grandi occhi luminosi sbarrati sul nulla come quelli dei ciechi, i due presentatori parlavano di Bisanzio, e la crudeltà di cui parlavano, forse a causa di quel gufo accecato dalle luci, mi sembrò più mostruosa e terribile, e perfino la parola, la parola «crudeltà», mi sembrò talmente intollerabile da non poterla sentire nemmeno pronunciare. Mi trasmetteva, sapendo a cosa si riferiva, un malessere fisico. Volevo che tutto finisse al più presto, e avevo già preso il telecomando per spegnere, quando la trasmissione finì. Il padrone del gufo reale - che presumibilmente era stato dato in affitto per quella serata - mentre sgombravano lo studio dall’arredo di scena, si avvicinò al trespolo, e senza tanti riguardi, come chi ha fretta e deve spicciarsi, prese quel nobile e fiero figlio della Natura per i piedi, che aveva grandi e unghiuti e possenti, da predatore notturno, e come fosse un pollo qualsiasi da portare al mercato se lo portò via. Mentre veniva così trascinato penzoloni, a testa in giù, sentii in me tutta l’umiliazione cui era stato sottoposto e pensai ai suoi grandi occhi splendenti, aperti sul mondo assurdo dove chissà perché era precipitato.
Nel testo c’è una forte opposizione tra la condizione del gufo descritta nel primo episodio e quella descritta nel secondo.
Esprimi brevemente con due distinte parole o frasi le opposte condizioni del gufo nel primo episodio:




13. A12.b
SUA MAESTÀ IL GUFO ACCECATO DALLE LUC​I
Come sono misteriosi gli uccelli notturni, i gufi, le civette, i barbagianni! Il gufo reale è uno dei più grandi e merita veramente il suo nome. È sempre difficile avvistarlo. Una sera d’estate, nella casa di campagna, ne ho visto uno volare dal tetto verso gli alberi vicini. Mi sembrò un fantasma familiare, una creatura arrivata dal mondo oscuro della Natura, ma benevola, che portava con sé qualcosa di ignoto. Il suo arrivo suscitò in me sorpresa e meraviglia. Sentii il fruscio delle sue grandi ali, poi vidi nel buio il folto piumaggio, e non diversa da quella di un nume fu la sua apparizione. Pochi momenti ed era già sparito. Raramente la sua maestà si lascia ammirare in tutta la sua piumata bellezza.

   In un’altra sera, una sera in città, ho visto un gufo reale esposto su un trespolo in una trasmissione televisiva. Era una di quelle trasmissioni culturali che vanno in onda dopo la mezzanotte, e la presenza del gufo, simbolo di saggezza, era come una sigla che voleva dire: trasmissione notturna, o forse culturale. Stava lì nello studio mentre i due presentatori parlavano di Bisanzio, una civiltà dove raffinatezza e crudeltà andavano di pari passo, e accecare un nemico era cosa normalmente praticata, per asservirlo o per renderlo innocuo. I due presentatori parlavano, e dietro di loro sul trespolo, come un idolo, assolutamente immobile, con la testa eretta stava il gufo reale, accecato dalle luci dello studio. Sentivo che la sua immobilità nasceva proprio dalla sua intolleranza per la luce, ed era l’immobilità che assumono certi animali di fronte a un nemico inevitabile e invincibile. Non riuscivo a seguire le parole dei presentatori che parlavano di migliaia di prigionieri accecati dopo una battaglia vinta dai bizantini, perché ero distratto e come ipnotizzato dagli occhi splendenti del gufo. Due occhi grandissimi, due biglie di vetro luminose e trasparenti, di un colore topazio con in mezzo un puntolino nero. E com’era veramente regale quell’uccello, con che dignità stava su quel trespolo, come su un trono. E com’era misteriosa la fissità del suo sguardo! Stava lì, in quel luogo così diverso dai suoi ascosirifugi notturni e totalmente a lui estraneo, e io in quel momento guardandolo mi sorpresi a pensare a tutte le creature, uomini e animali e uccelli, gettate senza un perché su questa terra, come lui era stato gettato in quello studio televisivo. Mentre il gufo reale immobile sul trespolo teneva per tutto il tempo della trasmissione i suoi grandi occhi luminosi sbarrati sul nulla come quelli dei ciechi, i due presentatori parlavano di Bisanzio, e la crudeltà di cui parlavano, forse a causa di quel gufo accecato dalle luci, mi sembrò più mostruosa e terribile, e perfino la parola, la parola «crudeltà», mi sembrò talmente intollerabile da non poterla sentire nemmeno pronunciare. Mi trasmetteva, sapendo a cosa si riferiva, un malessere fisico. Volevo che tutto finisse al più presto, e avevo già preso il telecomando per spegnere, quando la trasmissione finì. Il padrone del gufo reale - che presumibilmente era stato dato in affitto per quella serata - mentre sgombravano lo studio dall’arredo di scena, si avvicinò al trespolo, e senza tanti riguardi, come chi ha fretta e deve spicciarsi, prese quel nobile e fiero figlio della Natura per i piedi, che aveva grandi e unghiuti e possenti, da predatore notturno, e come fosse un pollo qualsiasi da portare al mercato se lo portò via. Mentre veniva così trascinato penzoloni, a testa in giù, sentii in me tutta l’umiliazione cui era stato sottoposto e pensai ai suoi grandi occhi splendenti, aperti sul mondo assurdo dove chissà perché era precipitato.
Nel testo c’è una forte opposizione tra la condizione del gufo descritta nel primo episodio e quella descritta nel secondo.
Esprimi brevemente con due distinte parole o frasi le opposte condizioni del gufo nel secondo episodio:




14. A13.
SUA MAESTÀ IL GUFO ACCECATO DALLE LUC​I
Come sono misteriosi gli uccelli notturni, i gufi, le civette, i barbagianni! Il gufo reale è uno dei più grandi e merita veramente il suo nome. È sempre difficile avvistarlo. Una sera d’estate, nella casa di campagna, ne ho visto uno volare dal tetto verso gli alberi vicini. Mi sembrò un fantasma familiare, una creatura arrivata dal mondo oscuro della Natura, ma benevola, che portava con sé qualcosa di ignoto. Il suo arrivo suscitò in me sorpresa e meraviglia. Sentii il fruscio delle sue grandi ali, poi vidi nel buio il folto piumaggio, e non diversa da quella di un nume fu la sua apparizione. Pochi momenti ed era già sparito. Raramente la sua maestà si lascia ammirare in tutta la sua piumata bellezza.

   In un’altra sera, una sera in città, ho visto un gufo reale esposto su un trespolo in una trasmissione televisiva. Era una di quelle trasmissioni culturali che vanno in onda dopo la mezzanotte, e la presenza del gufo, simbolo di saggezza, era come una sigla che voleva dire: trasmissione notturna, o forse culturale. Stava lì nello studio mentre i due presentatori parlavano di Bisanzio, una civiltà dove raffinatezza e crudeltà andavano di pari passo, e accecare un nemico era cosa normalmente praticata, per asservirlo o per renderlo innocuo. I due presentatori parlavano, e dietro di loro sul trespolo, come un idolo, assolutamente immobile, con la testa eretta stava il gufo reale, accecato dalle luci dello studio. Sentivo che la sua immobilità nasceva proprio dalla sua intolleranza per la luce, ed era l’immobilità che assumono certi animali di fronte a un nemico inevitabile e invincibile. Non riuscivo a seguire le parole dei presentatori che parlavano di migliaia di prigionieri accecati dopo una battaglia vinta dai bizantini, perché ero distratto e come ipnotizzato dagli occhi splendenti del gufo. Due occhi grandissimi, due biglie di vetro luminose e trasparenti, di un colore topazio con in mezzo un puntolino nero. E com’era veramente regale quell’uccello, con che dignità stava su quel trespolo, come su un trono. E com’era misteriosa la fissità del suo sguardo! Stava lì, in quel luogo così diverso dai suoi ascosirifugi notturni e totalmente a lui estraneo, e io in quel momento guardandolo mi sorpresi a pensare a tutte le creature, uomini e animali e uccelli, gettate senza un perché su questa terra, come lui era stato gettato in quello studio televisivo. Mentre il gufo reale immobile sul trespolo teneva per tutto il tempo della trasmissione i suoi grandi occhi luminosi sbarrati sul nulla come quelli dei ciechi, i due presentatori parlavano di Bisanzio, e la crudeltà di cui parlavano, forse a causa di quel gufo accecato dalle luci, mi sembrò più mostruosa e terribile, e perfino la parola, la parola «crudeltà», mi sembrò talmente intollerabile da non poterla sentire nemmeno pronunciare. Mi trasmetteva, sapendo a cosa si riferiva, un malessere fisico. Volevo che tutto finisse al più presto, e avevo già preso il telecomando per spegnere, quando la trasmissione finì. Il padrone del gufo reale - che presumibilmente era stato dato in affitto per quella serata - mentre sgombravano lo studio dall’arredo di scena, si avvicinò al trespolo, e senza tanti riguardi, come chi ha fretta e deve spicciarsi, prese quel nobile e fiero figlio della Natura per i piedi, che aveva grandi e unghiuti e possenti, da predatore notturno, e come fosse un pollo qualsiasi da portare al mercato se lo portò via. Mentre veniva così trascinato penzoloni, a testa in giù, sentii in me tutta l’umiliazione cui era stato sottoposto e pensai ai suoi grandi occhi splendenti, aperti sul mondo assurdo dove chissà perché era precipitato.
L’autore afferma che il gufo “merita veramente il suo nome”: a quale nome si riferisce?




15. A14.
SUA MAESTÀ IL GUFO ACCECATO DALLE LUC​I
Come sono misteriosi gli uccelli notturni, i gufi, le civette, i barbagianni! Il gufo reale è uno dei più grandi e merita veramente il suo nome. È sempre difficile avvistarlo. Una sera d’estate, nella casa di campagna, ne ho visto uno volare dal tetto verso gli alberi vicini. Mi sembrò un fantasma familiare, una creatura arrivata dal mondo oscuro della Natura, ma benevola, che portava con sé qualcosa di ignoto. Il suo arrivo suscitò in me sorpresa e meraviglia. Sentii il fruscio delle sue grandi ali, poi vidi nel buio il folto piumaggio, e non diversa da quella di un nume fu la sua apparizione. Pochi momenti ed era già sparito. Raramente la sua maestà si lascia ammirare in tutta la sua piumata bellezza.

   In un’altra sera, una sera in città, ho visto un gufo reale esposto su un trespolo in una trasmissione televisiva. Era una di quelle trasmissioni culturali che vanno in onda dopo la mezzanotte, e la presenza del gufo, simbolo di saggezza, era come una sigla che voleva dire: trasmissione notturna, o forse culturale. Stava lì nello studio mentre i due presentatori parlavano di Bisanzio, una civiltà dove raffinatezza e crudeltà andavano di pari passo, e accecare un nemico era cosa normalmente praticata, per asservirlo o per renderlo innocuo. I due presentatori parlavano, e dietro di loro sul trespolo, come un idolo, assolutamente immobile, con la testa eretta stava il gufo reale, accecato dalle luci dello studio. Sentivo che la sua immobilità nasceva proprio dalla sua intolleranza per la luce, ed era l’immobilità che assumono certi animali di fronte a un nemico inevitabile e invincibile. Non riuscivo a seguire le parole dei presentatori che parlavano di migliaia di prigionieri accecati dopo una battaglia vinta dai bizantini, perché ero distratto e come ipnotizzato dagli occhi splendenti del gufo. Due occhi grandissimi, due biglie di vetro luminose e trasparenti, di un colore topazio con in mezzo un puntolino nero. E com’era veramente regale quell’uccello, con che dignità stava su quel trespolo, come su un trono. E com’era misteriosa la fissità del suo sguardo! Stava lì, in quel luogo così diverso dai suoi ascosirifugi notturni e totalmente a lui estraneo, e io in quel momento guardandolo mi sorpresi a pensare a tutte le creature, uomini e animali e uccelli, gettate senza un perché su questa terra, come lui era stato gettato in quello studio televisivo. Mentre il gufo reale immobile sul trespolo teneva per tutto il tempo della trasmissione i suoi grandi occhi luminosi sbarrati sul nulla come quelli dei ciechi, i due presentatori parlavano di Bisanzio, e la crudeltà di cui parlavano, forse a causa di quel gufo accecato dalle luci, mi sembrò più mostruosa e terribile, e perfino la parola, la parola «crudeltà», mi sembrò talmente intollerabile da non poterla sentire nemmeno pronunciare. Mi trasmetteva, sapendo a cosa si riferiva, un malessere fisico. Volevo che tutto finisse al più presto, e avevo già preso il telecomando per spegnere, quando la trasmissione finì. Il padrone del gufo reale - che presumibilmente era stato dato in affitto per quella serata - mentre sgombravano lo studio dall’arredo di scena, si avvicinò al trespolo, e senza tanti riguardi, come chi ha fretta e deve spicciarsi, prese quel nobile e fiero figlio della Natura per i piedi, che aveva grandi e unghiuti e possenti, da predatore notturno, e come fosse un pollo qualsiasi da portare al mercato se lo portò via. Mentre veniva così trascinato penzoloni, a testa in giù, sentii in me tutta l’umiliazione cui era stato sottoposto e pensai ai suoi grandi occhi splendenti, aperti sul mondo assurdo dove chissà perché era precipitato.

Nelle due esclamazioni (evidenziate nel testo) l’autore usa l’aggettivo “misterioso” per definire
il mondo degli uccelli notturni e lo sguardo del gufo.
Che cosa vuole sottolineare l’autore con questo aggettivo?





16. A15.
SUA MAESTÀ IL GUFO ACCECATO DALLE LUC​I
Come sono misteriosi gli uccelli notturni, i gufi, le civette, i barbagianni! Il gufo reale è uno dei più grandi e merita veramente il suo nome. È sempre difficile avvistarlo. Una sera d’estate, nella casa di campagna, ne ho visto uno volare dal tetto verso gli alberi vicini. Mi sembrò un fantasma familiare, una creatura arrivata dal mondo oscuro della Natura, ma benevola, che portava con sé qualcosa di ignoto. Il suo arrivo suscitò in me sorpresa e meraviglia. Sentii il fruscio delle sue grandi ali, poi vidi nel buio il folto piumaggio, e non diversa da quella di un nume fu la sua apparizione. Pochi momenti ed era già sparito. Raramente la sua maestà si lascia ammirare in tutta la sua piumata bellezza.

   In un’altra sera, una sera in città, ho visto un gufo reale esposto su un trespolo in una trasmissione televisiva. Era una di quelle trasmissioni culturali che vanno in onda dopo la mezzanotte, e la presenza del gufo, simbolo di saggezza, era come una sigla che voleva dire: trasmissione notturna, o forse culturale. Stava lì nello studio mentre i due presentatori parlavano di Bisanzio, una civiltà dove raffinatezza e crudeltà andavano di pari passo, e accecare un nemico era cosa normalmente praticata, per asservirlo o per renderlo innocuo. I due presentatori parlavano, e dietro di loro sul trespolo, come un idolo, assolutamente immobile, con la testa eretta stava il gufo reale, accecato dalle luci dello studio. Sentivo che la sua immobilità nasceva proprio dalla sua intolleranza per la luce, ed era l’immobilità che assumono certi animali di fronte a un nemico inevitabile e invincibile. Non riuscivo a seguire le parole dei presentatori che parlavano di migliaia di prigionieri accecati dopo una battaglia vinta dai bizantini, perché ero distratto e come ipnotizzato dagli occhi splendenti del gufo. Due occhi grandissimi, due biglie di vetro luminose e trasparenti, di un colore topazio con in mezzo un puntolino nero. E com’era veramente regale quell’uccello, con che dignità stava su quel trespolo, come su un trono. E com’era misteriosa la fissità del suo sguardo! Stava lì, in quel luogo così diverso dai suoi ascosirifugi notturni e totalmente a lui estraneo, e io in quel momento guardandolo mi sorpresi a pensare a tutte le creature, uomini e animali e uccelli, gettate senza un perché su questa terra, come lui era stato gettato in quello studio televisivo. Mentre il gufo reale immobile sul trespolo teneva per tutto il tempo della trasmissione i suoi grandi occhi luminosi sbarrati sul nulla come quelli dei ciechi, i due presentatori parlavano di Bisanzio, e la crudeltà di cui parlavano, forse a causa di quel gufo accecato dalle luci, mi sembrò più mostruosa e terribile, e perfino la parola, la parola «crudeltà», mi sembrò talmente intollerabile da non poterla sentire nemmeno pronunciare. Mi trasmetteva, sapendo a cosa si riferiva, un malessere fisico. Volevo che tutto finisse al più presto, e avevo già preso il telecomando per spegnere, quando la trasmissione finì. Il padrone del gufo reale - che presumibilmente era stato dato in affitto per quella serata - mentre sgombravano lo studio dall’arredo di scena, si avvicinò al trespolo, e senza tanti riguardi, come chi ha fretta e deve spicciarsi, prese quel nobile e fiero figlio della Natura per i piedi, che aveva grandi e unghiuti e possenti, da predatore notturno, e come fosse un pollo qualsiasi da portare al mercato se lo portò via. Mentre veniva così trascinato penzoloni, a testa in giù, sentii in me tutta l’umiliazione cui era stato sottoposto e pensai ai suoi grandi occhi splendenti, aperti sul mondo assurdo dove chissà perché era precipitato.
A quale termine si riferiscono i due -lo di “asservirlo” e “renderlo innocuo” (parole evidenziate nel testo)? 



17. A16.
Nel testo il gufo è visto dall’autore come un “idolo”.
Qual è il significato letterale della parola “idolo”?



18. A15.
SUA MAESTÀ IL GUFO ACCECATO DALLE LUC​I
Come sono misteriosi gli uccelli notturni, i gufi, le civette, i barbagianni! Il gufo reale è uno dei più grandi e merita veramente il suo nome. È sempre difficile avvistarlo. Una sera d’estate, nella casa di campagna, ne ho visto uno volare dal tetto verso gli alberi vicini. Mi sembrò un fantasma familiare, una creatura arrivata dal mondo oscuro della Natura, ma benevola, che portava con sé qualcosa di ignoto. Il suo arrivo suscitò in me sorpresa e meraviglia. Sentii il fruscio delle sue grandi ali, poi vidi nel buio il folto piumaggio, e non diversa da quella di un nume fu la sua apparizione. Pochi momenti ed era già sparito. Raramente la sua maestà si lascia ammirare in tutta la sua piumata bellezza.

   In un’altra sera, una sera in città, ho visto un gufo reale esposto su un trespolo in una trasmissione televisiva. Era una di quelle trasmissioni culturali che vanno in onda dopo la mezzanotte, e la presenza del gufo, simbolo di saggezza, era come una sigla che voleva dire: trasmissione notturna, o forse culturale. Stava lì nello studio mentre i due presentatori parlavano di Bisanzio, una civiltà dove raffinatezza e crudeltà andavano di pari passo, e accecare un nemico era cosa normalmente praticata, per asservirlo o per renderlo innocuo. I due presentatori parlavano, e dietro di loro sul trespolo, come un idolo, assolutamente immobile, con la testa eretta stava il gufo reale, accecato dalle luci dello studio. Sentivo che la sua immobilità nasceva proprio dalla sua intolleranza per la luce, ed era l’immobilità che assumono certi animali di fronte a un nemico inevitabile e invincibile. Non riuscivo a seguire le parole dei presentatori che parlavano di migliaia di prigionieri accecati dopo una battaglia vinta dai bizantini, perché ero distratto e come ipnotizzato dagli occhi splendenti del gufo. Due occhi grandissimi, due biglie di vetro luminose e trasparenti, di un colore topazio con in mezzo un puntolino nero. E com’era veramente regale quell’uccello, con che dignità stava su quel trespolo, come su un trono. E com’era misteriosa la fissità del suo sguardo! Stava lì, in quel luogo così diverso dai suoi ascosirifugi notturni e totalmente a lui estraneo, e io in quel momento guardandolo mi sorpresi a pensare a tutte le creature, uomini e animali e uccelli, gettate senza un perché su questa terra, come lui era stato gettato in quello studio televisivo. Mentre il gufo reale immobile sul trespolo teneva per tutto il tempo della trasmissione i suoi grandi occhi luminosi sbarrati sul nulla come quelli dei ciechi, i due presentatori parlavano di Bisanzio, e la crudeltà di cui parlavano, forse a causa di quel gufo accecato dalle luci, mi sembrò più mostruosa e terribile, e perfino la parola, la parola «crudeltà», mi sembrò talmente intollerabile da non poterla sentire nemmeno pronunciare. Mi trasmetteva, sapendo a cosa si riferiva, un malessere fisico. Volevo che tutto finisse al più presto, e avevo già preso il telecomando per spegnere, quando la trasmissione finì. Il padrone del gufo reale - che presumibilmente era stato dato in affitto per quella serata - mentre sgombravano lo studio dall’arredo di scena, si avvicinò al trespolo, e senza tanti riguardi, come chi ha fretta e deve spicciarsi, prese quel nobile e fiero figlio della Natura per i piedi, che aveva grandi e unghiuti e possenti, da predatore notturno, e come fosse un pollo qualsiasi da portare al mercato se lo portò via. Mentre veniva così trascinato penzoloni, a testa in giù, sentii in me tutta l’umiliazione cui era stato sottoposto e pensai ai suoi grandi occhi splendenti, aperti sul mondo assurdo dove chissà perché era precipitato.
A quale termine si riferiscono i due -lo di “asservirlo” e “renderlo innocuo” (parole evidenziate nel testo)? 



19. A17.
SUA MAESTÀ IL GUFO ACCECATO DALLE LUC​I
Come sono misteriosi gli uccelli notturni, i gufi, le civette, i barbagianni! Il gufo reale è uno dei più grandi e merita veramente il suo nome. È sempre difficile avvistarlo. Una sera d’estate, nella casa di campagna, ne ho visto uno volare dal tetto verso gli alberi vicini. Mi sembrò un fantasma familiare, una creatura arrivata dal mondo oscuro della Natura, ma benevola, che portava con sé qualcosa di ignoto. Il suo arrivo suscitò in me sorpresa e meraviglia. Sentii il fruscio delle sue grandi ali, poi vidi nel buio il folto piumaggio, e non diversa da quella di un nume fu la sua apparizione. Pochi momenti ed era già sparito. Raramente la sua maestà si lascia ammirare in tutta la sua piumata bellezza.

   In un’altra sera, una sera in città, ho visto un gufo reale esposto su un trespolo in una trasmissione televisiva. Era una di quelle trasmissioni culturali che vanno in onda dopo la mezzanotte, e la presenza del gufo, simbolo di saggezza, era come una sigla che voleva dire: trasmissione notturna, o forse culturale. Stava lì nello studio mentre i due presentatori parlavano di Bisanzio, una civiltà dove raffinatezza e crudeltà andavano di pari passo, e accecare un nemico era cosa normalmente praticata, per asservirlo o per renderlo innocuo. I due presentatori parlavano, e dietro di loro sul trespolo, come un idolo, assolutamente immobile, con la testa eretta stava il gufo reale, accecato dalle luci dello studio. Sentivo che la sua immobilità nasceva proprio dalla sua intolleranza per la luce, ed era l’immobilità che assumono certi animali di fronte a un nemico inevitabile e invincibile. Non riuscivo a seguire le parole dei presentatori che parlavano di migliaia di prigionieri accecati dopo una battaglia vinta dai bizantini, perché ero distratto e come ipnotizzato dagli occhi splendenti del gufo. Due occhi grandissimi, due biglie di vetro luminose e trasparenti, di un colore topazio con in mezzo un puntolino nero. E com’era veramente regale quell’uccello, con che dignità stava su quel trespolo, come su un trono. E com’era misteriosa la fissità del suo sguardo! Stava lì, in quel luogo così diverso dai suoi ascosirifugi notturni e totalmente a lui estraneo, e io in quel momento guardandolo mi sorpresi a pensare a tutte le creature, uomini e animali e uccelli, gettate senza un perché su questa terra, come lui era stato gettato in quello studio televisivo. Mentre il gufo reale immobile sul trespolo teneva per tutto il tempo della trasmissione i suoi grandi occhi luminosi sbarrati sul nulla come quelli dei ciechi, i due presentatori parlavano di Bisanzio, e la crudeltà di cui parlavano, forse a causa di quel gufo accecato dalle luci, mi sembrò più mostruosa e terribile, e perfino la parola, la parola «crudeltà», mi sembrò talmente intollerabile da non poterla sentire nemmeno pronunciare. Mi trasmetteva, sapendo a cosa si riferiva, un malessere fisico. Volevo che tutto finisse al più presto, e avevo già preso il telecomando per spegnere, quando la trasmissione finì. Il padrone del gufo reale - che presumibilmente era stato dato in affitto per quella serata - mentre sgombravano lo studio dall’arredo di scena, si avvicinò al trespolo, e senza tanti riguardi, come chi ha fretta e deve spicciarsi, prese quel nobile e fiero figlio della Natura per i piedi, che aveva grandi e unghiuti e possenti, da predatore notturno, e come fosse un pollo qualsiasi da portare al mercato se lo portò via. Mentre veniva così trascinato penzoloni, a testa in giù, sentii in me tutta l’umiliazione cui era stato sottoposto e pensai ai suoi grandi occhi splendenti, aperti sul mondo assurdo dove chissà perché era precipitato.
A quale termine si riferiscono i due -lo di “asservirlo” e “renderlo innocuo” (parole evidenziate nel testo)? 



20. A18.
Leggi il seguente componimento e poi rispondi alle domande
Parabola 
di Vincenzo Cardarelli 

        Anni di giovinezza grandi e pieni!
        Mattini lenti, faticoso ascendere
        di gioventù che avanza
        come il carro del sole
5      sulla via del meriggio.
        A colpi di frusta,
        con grida eccitanti,
        noi la sproniamo a passare.
        Ed illusioni, errori,
10   non sono allora che stimoli al tempo
        e una maniera d’ingannar l’attesa.
        Giunti che siamo al sommo, vòlti all’ombra,
        gli anni van giù rovinosi in pendio.
        Né il numerarli ha ormai nessun valore
15   in sì veloce moto.
Il poeta riflette sulla contraddizione che ognuno, nel corso della vita, vive e sperimenta.
I due termini della contraddizione sono ben evidenti nella poesia, chiaramente divisa in due parti.
Dove cominciano e dove finiscono le due parti?



21. A19.
Leggi il seguente componimento e poi rispondi alle domande
Parabola 
di Vincenzo Cardarelli 

        Anni di giovinezza grandi e pieni!
        Mattini lenti, faticoso ascendere
        di gioventù che avanza
        come il carro del sole
5      sulla via del meriggio.
        A colpi di frusta,
        con grida eccitanti,
        noi la sproniamo a passare.
        Ed illusioni, errori,
10   non sono allora che stimoli al tempo
        e una maniera d’ingannar l’attesa.
        Giunti che siamo al sommo, vòlti all’ombra,
        gli anni van giù rovinosi in pendio.
        Né il numerarli ha ormai nessun valore
15   in sì veloce moto.

Secondo un mito classico il sole (il dio Febo) saliva col suo carro fino al punto più alto del cielo,
cioè fino all’ora del mezzogiorno (meriggio). L’immagine metaforica “sulla via del meriggio” (verso 5)
sta a indicare il percorso dei giovani verso:



22. A20.
Parabola 
di Vincenzo Cardarelli 

        Anni di giovinezza grandi e pieni!
        Mattini lenti, faticoso ascendere
        di gioventù che avanza
        come il carro del sole
5      sulla via del meriggio.
        A colpi di frusta,
        con grida eccitanti,
        noi la sproniamo a passare.
        Ed illusioni, errori,
10   non sono allora che stimoli al tempo
        e una maniera d’ingannar l’attesa.
        Giunti che siamo al sommo, vòlti all’ombra,
        gli anni van giù rovinosi in pendio.
        Né il numerarli ha ormai nessun valore
15   in sì veloce moto.
Il “la” del verso 8 a che cosa rimanda?



23. A21.
Parabola 
di Vincenzo Cardarelli 

        Anni di giovinezza grandi e pieni!
        Mattini lenti, faticoso ascendere
        di gioventù che avanza
        come il carro del sole
5      sulla via del meriggio.
        A colpi di frusta,
        con grida eccitanti,
        noi la sproniamo a passare.
        Ed illusioni, errori,
10   non sono allora che stimoli al tempo
        e una maniera d’ingannar l’attesa.
        Giunti che siamo al sommo, vòlti all’ombra,
        gli anni van giù rovinosi in pendio.
        Né il numerarli ha ormai nessun valore
15   in sì veloce moto.

“Parabola”, che fa da titolo alla poesia, è una parola polisemica,
ha cioè diversi significati. Qui il termine è usato per indicare:




24. A22.
Parabola 
di Vincenzo Cardarelli 

        Anni di giovinezza grandi e pieni!
        Mattini lenti, faticoso ascendere
        di gioventù che avanza
        come il carro del sole
5      sulla via del meriggio.
        A colpi di frusta,
        con grida eccitanti,
        noi la sproniamo a passare.
        Ed illusioni, errori,
10   non sono allora che stimoli al tempo
        e una maniera d’ingannar l’attesa.
        Giunti che siamo al sommo, vòlti all’ombra,
        gli anni van giù rovinosi in pendio.
        Né il numerarli ha ormai nessun valore
15   in sì veloce moto.
Qual è il senso dei versi 6-8?



25. A23.
Parabola 
di Vincenzo Cardarelli 

        Anni di giovinezza grandi e pieni!
        Mattini lenti, faticoso ascendere
        di gioventù che avanza
        come il carro del sole
5      sulla via del meriggio.
        A colpi di frusta,
        con grida eccitanti,
        noi la sproniamo a passare.
        Ed illusioni, errori,
10   non sono allora che stimoli al tempo
        e una maniera d’ingannar l’attesa.
        Giunti che siamo al sommo, vòlti all’ombra,
        gli anni van giù rovinosi in pendio.
        Né il numerarli ha ormai nessun valore
15   in sì veloce moto.
L’enjambement (o inarcatura) è un accorgimento retorico - proprio della poesia - che consiste
nel completamento del senso di una frase o di una espressione nel verso successivo.
Nella poesia ad esempio è presente:



26. A24.
Parabola 
di Vincenzo Cardarelli 

        Anni di giovinezza grandi e pieni!
        Mattini lenti, faticoso ascendere
        di gioventù che avanza
        come il carro del sole
5      sulla via del meriggio.
        A colpi di frusta,
        con grida eccitanti,
        noi la sproniamo a passare.
        Ed illusioni, errori,
10   non sono allora che stimoli al tempo
        e una maniera d’ingannar l’attesa.
        Giunti che siamo al sommo, vòlti all’ombra,
        gli anni van giù rovinosi in pendio.
        Né il numerarli ha ormai nessun valore
15   in sì veloce moto.
Qual è tra le seguenti la riscrittura dei versi 9-11 che meglio ne mantiene il senso?



27. A25.
Parabola 
di Vincenzo Cardarelli 

        Anni di giovinezza grandi e pieni!
        Mattini lenti, faticoso ascendere
        di gioventù che avanza
        come il carro del sole
5      sulla via del meriggio.
        A colpi di frusta,
        con grida eccitanti,
        noi la sproniamo a passare.
        Ed illusioni, errori,
10   non sono allora che stimoli al tempo
        e una maniera d’ingannar l’attesa.
        Giunti che siamo al sommo, vòlti all’ombra,
        gli anni van giù rovinosi in pendio.
        Né il numerarli ha ormai nessun valore
15   in sì veloce moto.
Al verso 12 “vòlti” significa :



28. A26.
Parabola 
di Vincenzo Cardarelli 

        Anni di giovinezza grandi e pieni!
        Mattini lenti, faticoso ascendere
        di gioventù che avanza
        come il carro del sole
5      sulla via del meriggio.
        A colpi di frusta,
        con grida eccitanti,
        noi la sproniamo a passare.
        Ed illusioni, errori,
10   non sono allora che stimoli al tempo
        e una maniera d’ingannar l’attesa.
        Giunti che siamo al sommo, vòlti all’ombra,
        gli anni van giù rovinosi in pendio.
        Né il numerarli ha ormai nessun valore
15   in sì veloce moto.
L’ “ombra” al verso 12 è una metafora che sta per:



29. A27.
Parabola 
di Vincenzo Cardarelli 

        Anni di giovinezza grandi e pieni!
        Mattini lenti, faticoso ascendere
        di gioventù che avanza
        come il carro del sole
5      sulla via del meriggio.
        A colpi di frusta,
        con grida eccitanti,
        noi la sproniamo a passare.
        Ed illusioni, errori,
10   non sono allora che stimoli al tempo
        e una maniera d’ingannar l’attesa.
        Giunti che siamo al sommo, vòlti all’ombra,
        gli anni van giù rovinosi in pendio.
        Né il numerarli ha ormai nessun valore
15   in sì veloce moto.
Quale delle seguenti frasi è una parafrasi degli ultimi due versi:
“Né il numerarli ha ormai nessun valore / in sì veloce moto.” ?



30. C28. 
Completa correttamente le parole nelle seguenti frasi.

    ce gne ie gg g e
 1   Non ho mai dato ai camerieri delle man ..... superiori ai cinque euro
2  L’inge ..... ere si recò al cantiere per il collaudo
3  Farsi giustizia da soli è ille .... ittimo
4  Aver rischiato tanto è stata una vera incosc .... nza

31. A29.
Nella frase “È una vita che non ti vedo!” è presente una figura retorica.
Indica quale.



32. A30.
Selezione invalsi italiano secondaria secondo grado seconda dubbio domande 02
“L’opinonista ha partecipato ad un programma in televisione molto seguito.”
In questa frase antennista è un nome di genere maschile o femminile?
Non si può sapere, perché L’ può riferirsi sia a un nome maschile sia a un nome femminile


È sicuramente maschile, perché controllato è di genere maschile

33. A31.
Individua quali delle seguenti parole ha come significato :
Deporre qualcuno da una carica



34. A32.
Individua quali delle seguenti parole ha come significato :
Accennare velatamente a cose o persone




35. A33.
Selezione invalsi italiano secondaria secondo grado seconda dubbio domande 05
Individua quali delle seguenti parole ha come significato:
Nascondere qualcosa per fini illeciti






36. A34.
In quale di queste frasi sono presenti tutti gli argomenti del verbo
(cioè gli elementi obbligatoriamente richiesti dal verbo)?






37. A35.
Selezione invalsi italiano secondaria secondo grado seconda dubbio domande 03
Identifica la frase nella quale il soggetto (sottolineato) è anche agente,
e dunque ‘compie l’azione’ espressa dal verbo.

Maria ha ricevuto i complimenti di tutta la commissione d’esame.
mio fratello e io siamo entrati in possesso della nostra eredità.
il ciclista è stato superato in volata dal più agguerrito dei concorrenti.
il pianista concesse un ultimo bis.
Il Salumiere era velocissimo a servire tutti i suoi clienti

38. A36.
Selezione invalsi italiano secondaria secondo grado seconda SCELTA

Quale delle seguenti frasi, tutte con il verbo al congiuntivo, esprime un dubbio?





39. A37. 
Indica per ognuna delle parole o espressioni sottolineate la sua funzione,
scegliendola tra quelle proposte.

a) Cerca di arrivare prima del suono della campanella.
b) Cerca di arrivare prima che suoni la campanella.
c) Sei sempre in ritardo: cerca di arrivare prima!
d) Brava! Sei arrivata prima nella gara di verbi!
e) Si scoraggia alla prima difficoltà.
f) Sono arrivata prima di lui.

    Aggettivo Avverbio Preposizione Congiunzione
 a   
b  
c  
d  
e  
f  

40. A38. L’espressione “personale specializzato” è costituita da:



41. A39. Leggi la frase che segue.
“Gli editors, che avevano lavorato a lungo
sul linguaggio pubblicitario, si riunirono in vari team 
per redigere la proposta finale”.

La prima virgola:



42. B01. 
Nei seguenti periodi riconosci se le frasi sottolineate sono subordinate o coordinate.
a - Il nonno è diventato un po' sordo, perciò a volte non capisce quello che gli diciamo.
b - C'è stato un brusco abbassamento della temperatura, quindi pensiamo che in alta montagna sia nevicato.
c - Sono veramente arrabbiata e di sicuro non lo richiamerò.
d - Carla era così fuori di sé che insultò i suoi amici.
e - Alcuni spettatori entrarono in sala dopo che lo spettacolo era iniziato.

    Subordinata Coordinata
 a   
b  
c  
d  
e  

43. B02. 
In alcune delle parole elencate sotto,
il suffisso –one ha funzione di accrescitivo, indicale:

    Accrescitivo Non accrescitivo
 a   Torrone
b  Maglione
c  Carrozzone
d  Stanzone
e  Torrione
f  Abitazione

44. B03. Completa correttamente le parole nelle seguenti frasi.
Selezione invalsi italiano secondaria secondo grado seconda SCELTA

    cie
ce qu qqu li lli zione zzione
cqu
 1   Una pioggia insistente scendeva dal ____ lo.
2  I ladri avevano messo tutta la casa a so ___ adro.
3  La porta cigola: è da o___are!
4  Come fai a trovare la concentra____, se non spegni la tv?

45. B04. 
Nella frase "Quel 10 agosto vidi la più bella pioggia di stelle"
è presente una figura retorica. Indica quale.




46. B05.
Quale tra le seguenti opzioni è la frase attiva che corrisponde a 
"Quel vecchio edificio sarà abbattuto dalle ruspe il mese prossimo" 
?




47. B06.
In quale delle seguenti frasi è presente un pronome interrogativo?




48. B07.
Riconosci quale tra queste frasi contiene un predicato nominale.




49. B08. Completa correttamente le frasi:

    specie
fa spece di esseri generi vita persone
vita
 1   Fin dalle origini, la _____ umana ha condotto una dura   lotta per   adattarsi ai cambiamenti climatici e ambientali.
2  Secondo studi scientifici, tra 195.000 e 123.000 anni ____ le   popolazioni di Homo Sapiens in Africa furono decimate 
3  spostandosi sulla costa meridionale, poterono nutrirsi ____ 
 molluschi e piante commestibili
4  Anche oggi i circa 7 miliardi di _____ umani che popolano il   pianeta devono adattarsi a cambiamenti climatici e ambientali
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